100 operatori dell’infanzia – insegnanti, educatori, assistenti sociali e sanitari – e genitori hanno partecipato al webinar del 2 luglio 2020 dedicato agli effetti del Coronavirus sui bambini e i ragazzi, organizzato da Fondazione Franco Demarchi, Con.Solida e CNCA –Trentino Alto Adige.
La “lezione” sull’infanzia del Coronavirus e il rischio di un’emergenza educativa
Ospiti Giorgio Tamburlini, presidente Centro per la Salute del Bambino di Trieste e la professoressa Paola Venuti, direttrice del Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università di Trento, moderati da Francesca Gennai, vicepresidente di Consolida.
Secondo gli esperti il Coronavirus ha esacerbato le differenze tra bambini e ragazzi con il rischio concreto di un rilevante aumento delle diseguaglianze che peserà sul loro futuro e sul quello della comunità.
Per contenere questi effetti negativi serve un’alleanza tra pubblico e privato sociale, per creare un sistema educativo e scolastico esteso a tutti, realmente inclusivo e partecipato dalle famiglie.
È ormai noto che bambini e ragazzi sono stati poco o nulla colpiti dal punto di vista sanitario dal Covid-19. La valutazione delle conseguenze della pandemia sul loro percorso di crescita è invece molto diversa quando si prendono in esame gli effetti indiretti determinati dal lockdown. Secondo il pediatra Giorgio Tamburlini, ospite ieri del webinar sull’infanzia organizzato da Fondazione Demarchi, Consolida e CNCA, “il Coronavirus ci ha insegnato quanto sono diversi i bambini, non tanto per caratteristiche biologiche e fisiologiche, ma per i retroterra famigliari. La chiusura delle scuole e dei servizi educativi ha esacerbato le diseguaglianze in modo drammatico”. L’esclusione ha colpito soprattutto i bambini e i ragazzi più fragili, come quelli con bisogni educativi specifici o con disabilità che, nella maggioranza dei casi, sono stati esclusi completamente dalla didattica a distanza. “Anche in questo ambito però - ha sottolineato la professoressa Paola Venuti - le risorse dei genitori hanno fatto la differenza e l’esclusione ha colpito in modo netto le famiglie più fragili, perché il sistema educativo non ha saputo farsi carico delle differenze.” Anche la riapertura in corso dei servizi educativi – asili nidi, centri estivi, interventi di sostegno ai bambini e ragazzi fragili – seppur positiva è comunque limitata. I criteri di accesso, ad esempio la condizioni di lavoro dei genitori, i vincoli spaziali per la tutela della salute e l’aumento dei costi, hanno determinato un sostanziale calo della frequenza dei bambini e dei ragazzi ai servizi educativi, pari a circa il 50% nei nidi d’infanzia e del 70% nei centri estivi.
Ecco allora che per gli esperti l’intero sistema educativo va ripensato in modo da estendere a tutti l’accesso, anche ai servizi della primissima infanzia per la fascia 0 – 3 anni. Non solo, il sistema va costruito in modo realmente inclusivo con interventi individualizzati che tengano conto delle fragilità certificate come la disabilità, ma anche di quelle temporanee e legate a condizioni famigliari, come separazioni o difficoltà economiche. “Individualizzazione - ha sottolineato Venuti - non significa interventi ad hoc separati, che rischiano di «ghettizzare», al contrario i servizi educativi devono permettere a ciascun bambino e ragazzo di partecipare con gli altri, di fare insieme esperienze con i coetanei secondo le possibilità di ciascuno.
Il Coronavirus ha avuto anche effetti postivi che vanno però trasformati in condizioni stabili di un nuovo sistema educativo. Tra questi - secondo Venuti - c’è una rinnovata alleanza tra scuola, servizi educativi e famiglie, e un ripensamento di spazi e tempi di vita in famiglia. I genitori vanno comunque sostenuti perché a differenza del passato non hanno estese reti famigliari su cui far conto, sia per i bisogni di cura sia per le scelte educative. Gli esperti sono concordi nel dire che è necessario aprire nidi e scuole alle famiglie, creare servizi educativi in cui i genitori, accompagnati da professionisti dell’educazione, possano vivere esperienze con i loro figli e con altri famiglie”.
Per farlo, secondo Tamburlini, serve una nuova alleanza tra pubblico e privato sociale declinata a livello territoriale e il coinvolgimento delle aziende con un ripensamento in termini educativi del welfare aziendale.
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